Sacchi: «Il reddito di cittadinanza? Deve diventare “modulare”»

Sacchi: «Il reddito di cittadinanza? Deve diventare “modulare”»

Intervista a Stefano Sacchi, ordinario di Scienza Politica al Politecnico di Torino, membro del comitato scientifico dell’Alleanza contro la povertà in Italia. 

Il Reddito di cittadinanza è stato, ed è tuttora, una misura molto dibattuta nel nostro Paese. Ma cosa rappresenta davvero per gli italiani?
Al netto di storture nel disegno – che come Alleanza abbiamo già evidenziato – è, senza ombra di dubbio, un completamento importante nel sistema di welfare italiano. E va visto nel suo complesso, quindi insieme ad altri pezzi introdotti nell’ultimo decennio tra cui i sussidi di disoccupazione universali e l’estensione della cassa integrazione al di fuori dell’industria attuati nel 2015. E più recentemente l’introduzione dell’assegno unico per le famiglie. Ma può e deve essere migliorato.

Qual è l’obiettivo della ricerca sulla povertà che l’Alleanza sta sviluppando e che vedrà una prima parte di pubblicazione alla fine di maggio?

In primo luogo vogliamo analizzare il funzionamento dei servizi sia di inclusione sociale che di inclusione lavorativa e capire effettivamente se e quali percorsi hanno funzionato, e formulare proposte migliorative al riguardo. Inoltre vogliamo considerare più attentamente il disegno della misura per quanto riguarda il legame col lavoro, per contrastare la trappola della povertà. Questo è connesso ad una riflessione che stiamo svolgendo su cosa accadrà nel futuro del lavoro, con il possibile ingresso in povertà di nuove classi di cittadini. La domanda è “come dovrebbe funzionare la misura dopo la pandemia?”.

In che senso?

Quello che ci possiamo aspettare dalla nuova normalità post-pandemia è che emergano nuove categorie di bisognosi. I nuovi profili riguardano i lavoratori che hanno perso l’occupazione ma non hanno accesso a sussidi di disoccupazione, come gli autonomi, oppure li hanno esauriti, oppure ancora lavorano ma hanno un reddito troppo basso. Il disegno attuale del reddito di cittadinanza disincentiva la ricerca di lavoro, di fatto ti penalizza se lo trovi, dando luogo alla trappola della povertà. Dobbiamo lavorare proprio su questo fronte per proporre modifiche che ridisegnino il reddito di cittadinanza nella direzione di renderlo un vero e proprio in-work benefit e uno strumento che, per chi può, aiuti a rientrare nell’occupazione, senza però penalizzarechi non ne è in grado.

Quale potrebbe essere una possibile soluzione?

Occorre un disegno della misura che incentivi i beneficiari a trovare lavoro anziché scoraggiarli, quindi che consenta loro di cumulare reddito da lavoro e reddito di cittadinanza, con misure individualizzate che rimuovano le cause (compiti di cura, formazione inadeguata, ecc.) che ostacolano o impediscono una nuova occupazione. Un reddito di cittadinanza modulare, che continui ovviamente a dare un sostegno economico per le nuove categorie di poveri, ma che offra in modo mirato servizi di formazione per acquisire nuove competenze e indirizzarli nella ricerca di una nuova occupazione. Senza dimenticarsi che alcuni non troveranno lavoro, ma che non sono per questo meno meritevoli di sostegno. Questo è un aspetto fondamentale: in nessun modo devono entrare in competizione i profili di beneficiari che ci possiamo attendere nel futuro con quelli che conosciamo dai rapporti di monitoraggio disponibili, molto più distanti dal mercato del lavoro. Il reddito di cittadinanza deve essere appunto flessibile e modulabile per coprirli tutti.

Come considera il ruolo dell’Alleanza contro la Povertà?

Fondamentale. L’Alleanza è servita a portare il tema della povertà e soprattutto del contrasto alla povertà nell’agenda politica del Paese nell’ultimo decennio. Oggi il suo compito è ancora più importante per identificare i tanti problemi tuttora irrisolti, proporre soluzioni e per aggregare il massimo consenso possibile nella società civile per sostenere queste soluzioni.

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